Milano, 20 aprile 2023
Caro Sindaco Le scrivo.
Le scrivo perché dopo neanche quattro mesi dall’inizio dell’anno oggi, a Milano, è morta un’altra donna investita da un mezzo a motore. L’ennesima vittima di una città che non sa dare spazio e sicurezza ai suoi cittadini se non sono “contenuti” in armature di metallo, scudi potenti e inquinanti fatti di tonnellate di lamiere.
Una città che avrebbe dovuto ribellarsi e intraprendere una profonda trasformazione oltre 10 anni fa, il giorno in cui, nel 2011, un bambino, Giacomo, finì schiacciato da un tram per scansare la portiera di un’auto in divieto di sosta.
E invece – nonostante una maggioranza silenziosa che ogni giorno percorre le nostre strade aggrappata a cuccioli di uomo privati di ogni spazio vitale e libertà infantile, che trema per i propri adolescenti che affrontano la strada pretendendo l’autonomia indispensabile alla crescita, che invoca prudenza ai figli ormai grandi, spesso grandi camminatori e ciclisti, che da adulta si aggira consapevole del rischio quotidiano di una mobilità aggressiva e incontrollata e alla quale, da anziana, i semafori non consentono neppure il tempo di attraversare – Milano è ferma al palo.
Nonostante Giacomo, Luca, Veronica, e i tanti altri, Milano e chi l’ha governata fino ad oggi si sono rivelati incapaci di affrontare il problema della sicurezza, degli spazi sottratti alle persone, della mancanza di verde, della velocità, della mobilità tossica che nelle politiche è deliberatamente preferita a quella attiva che invece, lo dice l’Organizzazione Mondiale per la Salute, fa bene alla nostra salute e rappresenta un guadagno economico per la collettività.
Una trasformazione esistenziale che si ricollega alla visione che ne abbiamo. Una città che riconosce il valore della nostra umanità, dei suoi tempi, della salute da proteggere e della dipendenza assoluta fra la qualità dell’ambiente in cui viviamo e il nostro benessere più profondo o una in cui la spinta sempre più forte a primeggiare e una mentalità medioevale impediscono di vedere, e dar spazio tangibile, ai dati scientifici che le riconducono migliaia di morti premature all’anno per la pessima qualità dell’aria avvelenata dal traffico così come le trasformazioni straordinarie che da ormai molti anni sono state avviate da tanti sindaci e città fuori dai nostri confini.
Le scrivo anche perché ieri, dopo aver invitato tanti a partecipare alla manifestazione che lunedì ha visto tanti milanesi sotto Palazzo Marino invocare sicurezza e aria pulita, ho ricevuto questo messaggio.
Buongiorno Anna, grazie per la condivisione. Non viviamo più a Milano però. Per quanto fosse la nostra città, con i nostri amici e parenti, i nostri lavori e la nostra casa, negli ultimi mesi abbiamo deciso di trasferirci. Abbiamo deciso di proteggere la nostra salute e offrire un futuro diverso ai nostri due bambini. Ora viviamo a Stoccolma, non è il paradiso, ma possiamo uscire di casa senza avvelenarci, i bambini possono camminare sul marciapiede senza che improvvisamente un’auto salga per dover parcheggiare. Milano ci mancherà. Ora però non rappresenta più -secondo noi – un contesto accettabile dove investire crescendo una famiglia.
Se Lei ha ancora un filo di energia e una coscienza che la spinge al giusto, faccia che nessuno possa più dire di aver lasciato Milano per l’aria sporca e le condizioni di insicurezza in strada (e sui marciapiedi). Faccia sì che la vittima di oggi non lo sia invano e che la sua tragica morte diventi lo spartiacque – da raccontare al passato – di una strada da percorrere, questa sì davvero veloce: verso quella trasformazione radicale di Milano che troppi attendono da troppo tempo.
Se la imboccherà avrà tanti al suo fianco.
Anna Gerometta